Titolo: Quella metà di noi
Autrice: Paola Cereda
Editore: Perrone
Anno di pubblicazione: 2019
Recensione di: Carmela Tandurella
6 aprile 2020
Perché una donna tranquilla che ha lavorato per una vita, ha una casa e una pensione, si reinventa un nuovo lavoro come badante? Perché si rifiuta di vendere la casa per aiutare la figlia che si aspetta questo sacrificio come fosse un diritto?
Matilde ha un segreto, ma non è la sola: anche nella famiglia della Torino “bene” presso cui presta il suo lavoro di cura, come forse in tutte le nostre vite, ciascuno convive con una metà di sé che per pudore nasconde agli altri. Matilde abita in quartiere di Torino che, significativamente, si chiama Barriera: una periferia, se guardata dal centro, in realtà un diverso “centro”, con una sua storia fatta di successive sovrapposizioni di immigrati, con i suoi luoghi di scambio e di socialità. Un luogo dove Matilde ha vissuto col marito, emigrato dalla Puglia, anni di fatiche e di lotte, e che la figlia ha invece rifiutato, desiderando appartenere all’altra metà della città, quella dei professionisti che abitano antichi palazzi nobiliari. Matilde ha fatto la maestra, insegnando ai bambini anche la cosa che le piaceva davvero più di tutte, ovvero fare l’orto. Si è sempre presa cura, per lavoro, di altre vite, e continua a farlo, ma è di sé, dei suoi bisogni nascosti agli altri, che vuole adesso, superati i sessant’anni, occuparsi davvero: rifiutando, senza rancore né polemica, la prospettiva che la figlia condivide col tradizionale imperativo sociale secondo cui una madre “è fatta per questo”, ovvero per soddisfare i bisogni dei figli.
Attorno a lei, i più giovani sembrano interessati solo a ciò che si può ottenere attraverso il denaro. Matilde ha ancora sogni e desideri, ed è decisa a spendere il suo tempo per chiarire e magari realizzare quella metà di sé che gli altri non conoscono.
Perché leggerlo. Perché è scritto, con grande sensibilità, acutezza e realismo, da una persona che da psicologa ed esperta di arte per il sociale si è occupata davvero dei vissuti di chi svolge un lavoro di cura, e in particolare delle badanti. Perché affronta senza timori il nodo del legame famigliare come obbligo, della rinuncia al desiderio di una vita diversa, dei risvolti economici dei rapporti umani e affettivi. Perché trova simmetrie inattese tra badanti e badati, oltre che tra uomini e donne messi di fronte al bilancio delle proprie vite. Perché la protagonista è una donna comune, che non si tira indietro davanti alle proprie difficoltà.
L’autrice della recensione. Sono stata anch’io un’insegnante, ma la mia vita ha avuto al centro la ricerca di indipendenza, lo studio, il lavoro: non mi sono sposata, non sono stata una madre. Anch’io come Matilde non mi sono curata troppo del tempo che passa, degli anni che si accumulano, e ho dovuto fare i conti con i risvolti economici dei rapporti affettivi. Ho lavorato tanto su me stessa, e leggere è sempre stato il mio rifugio ed aiuto. Ho tante amiche che scrivono, e pubblicano bei libri, e sono orgogliosa di loro. Scrivo qualche volta anch’io su Vorrei.org