Titolo: Sul filo di lana. Come riconnetterci gli uni  con gli altri
Autori: Loretta Napoleoni
Editore: Mondadori Editore
Anno di pubblicazione: 2019
Recensione di: Paola Rizzi

8 aprile 2020

Fare la calza allunga la vita? Tzia Bicchedda, classe 1905 di Bolotana in provincia di Nuoro, in un bellissimo documentario del 2012 realizzato da Carlo Porcedda e Vera Braghiroli per Discovery Channel  sui centenari sardi (visibile su youtube), alla domanda su come avesse fatto a campare fino a 100 anni rispondeva, un po’ interdetta: «Boh, mi sono dedicata all’uncinetto e il tempo è passato così».

Il potere taumaturgico dell’incrocio di ferri e filati pare emergere prepotente anche dalla quantità di tutorial, corsi su zoom  e dirette Facebook sul lavoro a maglia e l’uncinetto che affollano la rete in queste settimane di quarantena, dove, obiettivamente, trovare qualcosa che ci distragga e sia anche produttivo è manna dal cielo. Mai avrebbe potuto immaginare Loretta Napoleoni che il suo libro strano e, partendo dal suo curriculum di esperta di  geopolitica ed economista di fama internazionale, imprevedibile, uscito a dicembre a Londra con il titolo “The power of knitting” e in Italia ai primi di febbraio per Mondadori con il titolo “Sul filo di lana. Come riconnetterci gli uni  con gli altri” potesse nel giro di poche settimane incontrare sulla sua strada un virus globale e pernicioso che ci obbliga a rivedere il nostro rapporto con lo spazio/tempo, a resettare gli schemi pre-virus di gratificazione mondana e sperimentarne di nuovi. Il presupposto di Napoleoni è che il lavoro a maglia “fa bene”. Fa bene ai neuroni, fa bene alla psiche. Per lei è stato così.

L’autrice, che di solito scrive libri sul terrorismo internazionale e i suoi canali di finanziamento, qui si mette in gioco e racconta di come una passione coltivata da bambina grazie agli insegnamenti della nonna le abbia consentito di sopravvivere letteralmente ad un divorzio dolorosissimo e ad una pesantissima debacle economica. Gli effetti balsamici su di lei di questa attività l’hanno spinta ad andare un po’ più a fondo, ad indagare sulla storia del lavoro a maglia fino a scriverne 174 pagine densissime di aneddoti e curiosità. Apprendiamo che il primo  frammento di maglia rinvenuto risale al 6500 avanti Cristo ed è stato ritrovato in una grotta in Israele, mentre un altro, datato 4200 a.c. è stato rintracciato in Danimarca. Nel mondo antico relegata alle classi povere e agli schiavi, rispetto al più raffinato telaio, la maglia è arrivata sino a noi indenne attraverso i secoli e la rivoluzione industriale. Ma sono la storia sociale ed emozionale del lavoro a maglia e i suoi risvolti simbolici e metaforici, i suoi nessi profondi con il nostro cervello che costituiscono il cuore della ricerca di Napoleoni. La maglia arriva là dove altre tecnologie non arrivano. La usa la matematica lettone Daina Taimina per realizzare modelli di piani iperbolici, forme complesse a cui la flessibilità del filato e l’inanellarsi dei punti si adatta particolarmente bene. Tiene in esercizio il nostro cervello allenando entrambi gli emisferi. Realizzare indumenti caldi per i soldati al fronte è un’attività di sostegno patriottico ma soprattutto di cura, come quella praticata da un collettivo torinese che realizza microtutine per i bimbi prematuri ricoverati in terapia intensiva. Negli ultimi decenni poi attraverso esperienze come lo yarn bombing e l’urban knittering i magliai si sono presi anche metri quadri di spazio pubblico, attraverso eventi collettivi come durante alcuni G8 in cui hanno realizzato enormi coperte patchwork con messaggi di protesta ai grandi del mondo. Sferruzzare insieme e fare rete, letteralmente, ha un alto potere simbolico. E si tratta di  eventi in cui è caduta anche la barriera di genere: se Napoleoni racconta come all’inizio dell’epopea della maglieria fossero soprattutto gli uomini a incrociare i ferri, oggi sono sempre di più i maschi praticanti.

Una bella storia raccontata da Napoleoni è quella di Peter e Ingrid, coppia settantenne che l’autrice incontra nella sala d’aspetto di un ospedale svedese. Tutti e due lavorano ai ferri: lei, appassionata da sempre, realizza vestiti per i rifugiati in Svezia. È lei la malata, di cancro, da molto tempo. Alla seconda ricaduta lui è andato in agitazione, ha cominciato a prendere psicofarmaci ma intanto lei gli ha insegnato a sferruzzare e anche lui si è appassionato, ha placato l’ansia e eliminato i medicinali e pratica yarn bombing politico, cioè realizza quadrati di maglia con messaggi contro le politiche antimmigrati o altri temi cruciali che poi abbandona nei luoghi pubblici, biblioteche, cinema, panchine. Una sorta di parabola dai mille risvolti. Nel libro si parla molto di filati e ci sono anche dei modelli da copiare.

Perché leggerlo. In questo periodo di tempi dilatati, un suggerimento di lettura per riprendere, alla lettera, il filo della propria vita e riconnettere le maglie della nostra rete sociale. Anche se a distanza.

L’autrice della recensione. Paola Rizzi, giornalista, nei quotidiani da sempre. Faccio parte del direttivo nazionale di Giulia (Giornaliste Unite Libere Autonome), associazione di giornaliste impegnata contro le discriminazioni e l’uso degli stereotipi di genere nel linguaggio dei media.